E’ Febbraio quando su Cicloturismo leggiamo un articolo sulla mitica Paris-Brest-Paris che, subito si butta lì l’idea di parteciparvi. Non siamo in realtà convinti di parteciparvi ma almeno la 200 km, anche se a marzo il freddo ancora non scherza, si potrebbe tentare! Siamo una dozzina decisi a parteciparvi, la partenza è alle 7:30 per cui, per non fare una levataccia decidiamo di dormire una notte nei pressi ed essere così già sul posto. Alle iscrizioni c’è Eligio Doglio, di Campiglione Fenile, un tranquillo paesino nei pressi di Pinerolo che, spinto da Giovanni Zilioli e Piera Marzani, che furono i soli italiani a partecipare nella edizione del 1995, e da Alberto Ferraris, giornalista della rivista Cicloturismo, ha trovato un gruppo di collaboratori che si è incaricato di organizzare le prove di qualificazione in Italia, facendo rinascere il movimento e risparmiando così agli aspiranti di dover espatriare perlomeno in Francia. C’è anche il presidente dell’Audax Club Parisien, Robert Lepertel con la moglie Susanne che sono entusiasti nel vedere tanto interesse mostrato dai ben 300 iscritti alla prova. Tuttavia, sottolineano che, viste le passate esperienze, solo il 10% riuscirà ad arrivare a Parigi! Vedremo più avanti che le cose andranno ben diversamente! E’ il 21 marzo e alla partenza c’è già luce per cui, per questa volta le torce elettriche non sono necessarie. Si parte a gruppi di 10-12, ci raccomandano di non fare gruppi numerosi e di tenere rigorosamente la destra, che siamo sulla strada come in una qualsiasi gita domenicale. Abbiamo ciascuno il nostro road-book, sappiamo che non ci sono segnalazioni lungo il percorso, che le strade le dobbiamo cercare, aiutati anche da una cartina dettagliata. Non siamo abituati a questo e ben presto ci troviamo in difficoltà, ci consultiamo, aspettiamo il transito di qualcuno che speriamo sia della zona o quantomeno la conosca, e poi via. Ciononostante riusciamo comunque a sbagliare e alla fine ci ritroviamo con una ventina di chilometri in più del previsto. E’ comunque una bella esperienza, la ricerca della strada dà entusiasmo e suscita un’attrattiva particolarissima. Concludiamo la prova compatti in 9 ore e 7′ piuttosto stravolti, forse non avevamo abbastanza allenamento. All’arrivo ci chiedono se intendiamo iscriverci immediatamente alla 300 km di aprile. Al momento l’idea non ci sfiora nemmeno, e rimandiamo la decisione. Il 17 aprile alle 4:00 parte la 300 km, siamo rimasti in 5, Gigi Re, Paolo Belloni, Giuseppe Fina, Matteo Cataudo, e Lorenzo Visentin. Questa volta optiamo per una levataccia, partiamo da casa all’una e alle 3 siamo già sul posto, in tempo per un ultimo pisolino. E’ ovviamente buio e fa’ un freddo canaglia, la temperatura è attorno allo zero e anche meno. In completa tenuta invernale, con le luci montate sulle bici, si parte tremando dal freddo. Nei campi si intravede uno strano e indefinito chiarore. E’ la prima volta che pedaliamo di notte, abbiamo difficoltà a valutare la posizione dei compagni, a scorgere il ciglio della strada e le immancabili buche. Il percorso è. Barge, Paesana, Saluzzo, Rossana, Caraglio, Borgo San Dalmazzo, Peveragno, Santuario di Vicoforte (qui troveremo un controllo segreto ma molto gradito, offerto dagli Alpini della zona), Ceva, Bossolasco, Diano d’Alba, Alba, Damiano d’Asti, Poirino, Carignano, Vigone, Cavour e quindi Campiglione Fenile. Alla prima salita, la Colletta di Paesana, a pochi chilometri dalla partenza, improvvisamente mi si spegne la torcia elettrica. Non posso fermarmi, devo salire al buio cercando di immaginare la strada e raggiungere il compagno più avanti per usufruire della sua luce. Non sono il solo ad avere problemi di luce, in vetta ci fermiamo per riparare il guasto. Le torce che abbiamo non sono affidabili, abbiamo scelto senza esperienza. Con le prime luci si svela il mistero, il chiarore è la brina che ricopre i campi, ecco spiegato il tanto freddo! A Saluzzo, sono le 6 del mattino, scorgiamo nella piazza principale un bar già aperto, ci infiliamo dentro di corsa a scaldarci un po’. Ne avevamo davvero bisogno! Lorenzo Visentin coi calzoncini corti estivi, senza soprascarpe, ci confessa di sentirsi un pezzo di ghiaccio. E lo credo bene! Con l’alba, arriva il tepore del sole, le temperatura si alza e diventa accettabile, è sempre freddo ma, si può resistere. I chilometri scorrono lentamente, ai punti di controllo si approfitta per fare ristoro e ripartire con un gruppetto nuovo, siamo in molti a partecipare quindi , trovare altri compagni non è affatto improbabile. Siamo quasi giunti alla fine del percorso e, con grande sorpresa, incontriamo un gruppo di amici Amspo, Giorgio Visentin, Angelo Borghetti, Paolo Reali ed Ezio Gorla i quali, non trovando niente di meglio da fare, ci sono venuti incontro per verificare se eravamo ancora vivi. Ebbene sì, lo eravamo eccome, anche dopo 300 km, e 15 ore e 30 minuti di viaggio! Alla consueta domanda se intendiamo iscriverci alla 400 km, ci guardiamo in faccia, abbiamo i visi con i segni della fatica, rispondiamo: “No, ora non ce la sentiamo proprio! Semmai, ci faremo vivi tra due settimane”. 15-16 Maggio – Alle 3:15 prende il via la terza prova, la 400 km. Siamo partiti, da casa, con l’ammiraglia Amspo poco dopo la mezzanotte ed alle 2:00 siamo già a Campiglione Fenile. Nonostante sia notte fonda c’è un gran movimento di ciclisti, chi arriva, chi completa le iscrizioni, chi esegue gli ultimi controlli al mezzo, chi mangiucchia qualcosa e chi, in auto, aspetta cercando di dormire. Compiamo anche noi lo stesso rituale ed aspettiamo, dormicchiando, fin quasi alle 3:00. E’ la prima volta che affrontiamo una distanza simile, siamo un poco preoccupati anche se, ciascuno cerca di nascondere la tensione, non ci sembra vero quello stiamo facendo eppure ….. ! Scoccano le 3, scattiamo fuori dall’auto, le bici sono già pronte, un’ultima verifica ai bagagli e alla bici, indossiamo il giubbino con le bande riflettenti e via in coda per la partenza. Siamo un poco ansiosi e preoccupati, l’emozione ci prende e il cuore batte velocemente, respiriamo una strana ed indefinita atmosfera, gli sguardi dei partecipanti si incrociano spesso cercando un segno, un gesto, uno sguardo, di condivisione. Scrupolosamente i giudici verificano la presenza e il funzionamento dei sistemi di illuminazione, un timbro con l’ora effettiva di partenza, un ultimo attimo di attesa per formare un gruppetto di una decina e la nuova avventura comincia. Del percorso non ne sappiamo più nulla, abbiamo perso la documentazione e non ci ricordiamo nemmeno sommariamente quale sia stato il percorso ma, sappiamo che siamo arrivati alle 20:49 della domenica, dopo 17h 34 11-12 Giugno – E’ l’ultima tappa del percorso di preparazione, la più lunga, con una intera notte trascorsa in bici, metà percorso della Paris-Brest-Paris. Questa volta la partenza è ad un’ora più accettabile, alle 6:15 ma, per arrivare qui abbiamo comunque fatto una levataccia partendo alle 3:30. Siamo in giugno ed a quest’ora c’è già il sole su nel cielo, non c’è più il buio delle altre volte e tutto sembra diverso, più normale, non fosse per il fatto che ci aspettano ben 600 km da percorrere il meno di 40 ore. Nonostante questo, forse per l’esperienza alle spalle o forse per la luce del giorno che ci consente di vedere bene in viso gli altri partecipanti, siamo più tranquilli e rilassati come se fossimo all’ennesima partecipazione. Il percorso prevede di salire a Sestriere e poi, Cesana Torinese, Oulx, Susa, Ciriè, Cuorgné, Ivrea, Biella, Gattinara, Biandrate, Borgo Vercelli, Lomello, Casei Gerola, Tortona, Villavernia, Novi Ligure, Ovada, Molare, Acqui Terme, Alba, Marene, Saluzzo, Barge e infine Campiglione Fenile. La salita a Sestriere, che ci impensieriva un poco, non si rivela una difficoltà particolare. Con diversi saliscendi si arriva a Gattinara, da qui attraversando le risaie arriviamo a Casei Gerola, nel frattempo è calata la notte e il sonno comincia a farsi sentire, gli occhi si fanno pesanti, c’è il rischio di addormentarsi in bici. La temperatura è decisamente estiva, pensiamo di fermarci un poco a fare un pisolino ma, dove? Siamo in pianura in mezzo alle risaie, non possiamo sdraiarci a terra nemmeno in centro ad un paese, la zanzare ci farebbero la festa! E allora, cosa facciamo? Ci fermiamo un attimo ad una fontanella, ci diamo una bella sciacquata al viso, alle braccia ed alle gambe e già ci sembra di rinascere. Possiamo proseguire ancora un po’, in attesa che ci venga qualche idea. Alla domanda: “Quali luoghi di pubblico accesso sono aperti anche la notte?” La risposta è stata: “Certamente, una stazione ferroviaria!” Ma, in questo momento, la ferrovia è lontana, il posto più vicino è Tortona a circa 40 km, ad almeno un’ora e mezza di bici! E’ mezzanotte ma Il pensiero di aver trovato una soluzione al problema basta per farci stare ancora svegli fino a Tortona. Seguendo le indicazioni, troviamo la stazione e scopriamo anche che un’altra mezza dozzina di partecipanti ha avuto la nostra stessa idea. In una piccola sala d’aspetto ci infiliamo noi quattro ed altri due con anche le biciclette. Dormire sulle panche di legno non è né comodo né facile, meglio sdraiati a terra con le gambe, in alto, sul sedile delle panche. Un’ora scarsa è stata più che sufficiente per farci rinascere, pronti per proseguire. Sono le 2:30 circa ci attende ora ancora un tratto piano fino a Ovada e poi sarà tutto un saliscendi fino ad Alba. Alle 7:24 timbriamo il cartellino di viaggio ad Acqui Terme, alle 13:01 a Cavallermaggiore. Di tanto in tanto una sosta a cogliere ciliegie da alberi lungo il ciglio della strada, e distendere gli arti indolenziti. Sotto un sole a picco scorrono gli ultimi chilometri sui modesti saliscendi e sui lunghi tratti piani e diritti e, finalmente, alle 15:40 della domenica, arriviamo a Campiglione, dopo 33h 25′. E’ stata dura ma, ce l’abbiamo fatta, abbiamo terminato il percorso di preparazione ed ora ci attende l’obiettivo finale, i 1200 km della Paris-Brest-Paris! Con l’auto di Matteo, attrezzata con un portabici speciale a 4 posti e il bagagliaio pieno, partiamo alla volta di Parigi. Percorrere solo l’autostrada sarebbe stato troppo monotono, allora, per rendere il tragitto più interessante, decidiamo di fare una variante passante per il Col del Monginevro, il Col du Lautaret e su ancora fino al Col du Galibier per poi scendere al Col du Telegraph, riprendere la “Vallée de la Maurienne” e quindi l’autostrada. Alla sera stessa del sabato, dopo aver trovato l’albergo e siatemato i bagagli, andiamo al luogo di partenza, la Place des Sangliers, al Gimnase des Droit de l’Homme, per completare le formalità di iscrizione e vedere come è l’ambiente di una manifestazione di questa portata. In una grande palestra ci sono i banchi per il ritiro della busta con numero, road-book e informazioni varie utili lungo il percorso e una gran folla di partecipanti. Molti circondano anche i banchi “commerciali” dove si vende tutto ciò che potrebbe essere interessante ad un pubblico così particolare; si vendono maglie e pantaloncini da ciclista in edizione speciale per la P.B.P. 1999, T-shirts, attrezzature da randonnéur, luci per la circolazione notturna, giubbotti rifrangenti e parti di bici. Si riincontrano i compagni di avventura delle prove di preparazione e gruppi di stranieri giunti da ogni parte del mondo, i temi ricorrenti sono sempre gli stessi, se si è alla prima esperienza, come si pensa di affrontare il duro percorso, dove si prevede di sostare a dormire e in che modo, come ci si è attrezzati ad affrontare la pioggia, quanti km si hanno nelle gambe eccetera, tutti argomenti che testimoniano la preoccupazione di affrontare un percorso duro, magari oltre le previsioni. All’indomani, dopo una notte di meritato riposo, nell’accogliente Hotel Campanile a La Verriere, a circa 12 km da Saint Quentin, decidiamo di fare un giro a Parigi, ovviamente, in bicicletta, tanto per tenere la gamba “calda”. Dopo un percorso di avvicinamento, comprendente la visita all’immenso Parco di Versailles, costeggiando la Senna arriviamo a Notre Dame per poi precorrere in tutta la lunghezza gli Champs Elisée, dal Museo del Louvre attraverso Place de la Concorde, fino a Place de l’Etoile e poi sotto la grande Tour Eiffel sulla quale una grande scritta luminosa mostra i giorni mancanti all’anno 2000. A conclusione della giornata, complessivamente, abbiamo percorso 80 km. Stasera, lunedì, alle 22:30 è il nostro orario di partenza, dobbiamo partire riposati il più possibile. Visitiamo il grande centro commerciale di Saint Quentin alla ricerca di qualche novità, e qui scopriamo che molti stranieri usano delle bici dotate di di luci alimentate da strane dinamo collocate nel mozzo anteriore oppure con contatto sul pneumatico posteriore, cose che non abbiamo mai visto prima, sono costruiti prevalentemente in Germania, in Francia e in Gran Bretagna dove il movimento dei randonnéur è radicato da anni. Durante il tragitto in bici dall’hotel a Saint Quentin, con le borse sulle bici in assetto definitivo, entro in una delle rarissime buche e “pizzico” il pneumatico posteriore, nonostante sia gonfiato 7,5 bar. Scopro così che le gomme da 20 mm, sotto il peso delle borse, sono troppo piccole e delicate e allora, parto alla ricerca di gomme da 23 più grandi e ammortizzanti. E’ la nostra inesperienza, scopriremo infatti che la maggior parte dei partecipanti monta gomme dello stesso calibro ed anche maggiore. Il percorso della Paris-Brest-Paris e il grafico altimetrico con le sue 364 gobbe. Al pomeriggio, un ultimo controllo alla bici, ai bagagli, alle luci, all’itinerario poi, un paio di ore di riposo, una cena abbondante ma veloce e poi via a Saint Quentin. La temperatura è appena fresca, pensiamo che poi, nella notte, farà più freddo quindi indossiamo i gambali e teniamo pronti guanti e giubbino antivento. Molti ci hanno preceduto e c’è una lunga coda che si snoda dalla piazza fino al campo di partenza. Pazientemente attendiamo il nostro turno e nell’attesa notiamo che due francesi davanti a noi non hanno né casco né bagaglio ingombrante come il nostro ma solo una borsettina anteriore nella quale, ci dicono, hanno solo qualche provvista e nient’altro nemmeno un impermeabile! Chiedo loro cosa faranno in caso di pioggia e tranquillamente mi rispondono che, il casco è solo consigliato ma non obbligatorio e che l’impermeabile non serve, in quanto, se piove è vero che ti inzuppi ma poi ….. l’acqua asciuga! Ci guardiamo in faccia e ci chiediamo se tutto il nostro pesante carico sia davvero utile oppure sia solo esagerata precauzione. Nel frattempo la moglie Remo Cagnazzi, un nostro amico di Biella, gira tra gli italiani per raccogliere le firme su una cartolina da inviare ad Eligio Doglio, come segno di gratitudine per l’impegno che ci ha consentito di essere qui. Lentamente si prosegue nella coda e finalmente alle 22:30, quando da tempo è sceso il buio, arriva il nostro turno. Si forma un gruppo di un centinaio circa, giù la bandiera a scacchi e via subito ad andatura frenetica, tra gli applausi degli spettatori, nel gruppo in cui contemporaneamente superiamo e veniamo superati da coloro che hanno già fretta di arrivare. Pur nel buio, si viaggia veloci con le luci accese, davanti a noi si scorge a tratti un lungo serpentone di lucine rosse che si perde in lontananza, ai lati la gente, numerosa, attende il passaggio dei ciclisti, li applaude e li incoraggia, “bon courage!”, si sente gridare, è emozionante, vengono le lacrime agli occhi. Non ci era mai capitato di essere accolti con questa festosità ma, per i francesi, la Paris-Brest-Paris è avvenimento eccezionale che li tiene svegli tutta la notte fino al passaggio dell’ultimo concorrente. Il numero di gara applicato sul telaio della bici. Abbiamo percorso un centinaio di km quando, nel bel mezzo di una foresta, tocco con la mia ruota anteriore quella posteriore di Giuseppe e cado coinvolgendo anche lui. Non ci siamo fatti nemmeno un graffio ma alla ruota anteriore di Giuseppe si sono inspiegabilmente rotti 5 raggi consecutivi e non gira più. Ci fermiamo al bordo della strada per tentare una riparazione, alla luce delle lampade. Giuseppe non ha raggi di scorta e i nostri sono troppo lunghi o troppo corti. Mentre si sente il fruscio dei ciclisti che velocemente ci passano accanto chiedendoci ci siamo feriti o se abbiamo problemi. Giuseppe sconsolato esclama: “Per me, la Paris-Brest-Paris finisce qui!.” Cercare di raddrizzare la ruota semplicemente regolando i raggi rimasti appare impossibile quindi, non resta altro che togliere dei raggi da altre parti della ruota e creare 5 buchi sparsi che almeno permettano di raddrizzarla quel tanto che basta per girare e raggiungere il posto di controllo a Mortagne au Perche, a 50 km circa. L’espediente funziona, faticosamente con gli occhiali da vista e il sudore che cola negli occhi, con la poca luce delle lampade che a tratti mi accecano, riparo la ruota ed anche se deve tenere il freno allargato può proseguire fino a Mortagne au Perche dove il servizio di assistenza meccanica la rimetterà in perfette condizioni. Nel frattempo questo inconveniente ci è costato quasi due ore di tempo quindi ripartiamo immediatamente, sono le 7 circa ed albeggia. Mortagne au Perche-Villaines la Juhel. Arriviamo alle 10:54, siamo in viaggio da oltre 12 ore e abbiamo percorso solo 223 km, siamo in ritardo sulla tabella di marcia, dobbiamo sostare il minimo possibile e cercare di riguadagnare il tempo perduto. Villaines la Juhel-Fougeres. Sapevamo che la rivista Cicloturismo avrebbe fatto un servizio speciale sulla Paris-Brest-Paris ma non sapevamo né come né dove e la sorpresa fu grande quando vedemmo l’auto affiancarci e proporci di fare una foto proprio davanti a una bella chiesetta di un piccolo paesino. Nella foto siamo solo in tre perché in quel momento, Giuseppe era avanti un pezzo e non siamo riusciti a raggiungerlo. A tratti facciamo gruppo con altri e a tratti proseguiamo da soli, il bagaglio, ci pesa sempre di più, osserviamo gli altri che ci superano, sono più leggeri di noi. Dobbiamo trovare il modo di alleggerirci , ma come, non possiamo abbandonare semplicemente, il superfluo, dobbiamo “parcheggiarlo” da qualche parte e recuperarlo al ritorno. Si pensa al deposito bagaglio di una stazione ferroviaria ma, nei pressi non passa la ferrovia; potremmo lasciarlo a qualche abitante sulla strada ma poi, siamo sicuri di ritrovarlo? Intanto che si discute si arriva a Fougeres, alle 16:35, dopo 311 km. Qui chiediamo alla organizzazione e gentilmente ci consentono di lasciare la “zavorra” in un sacco spazzatura siglato coi nostri numeri di partecipazione e di poterla riprendere al ritorno. Finalmente, ce l’abbiamo fatta! Ci facciamo una bella doccia ristoratrice, un pasto veloce, come sempre e, via di nuovo, alleggeriti. Fougeres-Tinteniac. La giornata scorre tranquilla su e giù per collinette con un bel sole e tra tanti compagni d’avventura, ci accodiamo a due coppie in tandem che velocissimi ci “trainano” per oltre 30 km. Lungo il percorso, in un tratto in leggera salita, il fotografo ufficiale ci scatta le foto ricordo, come abbiamo richiesto prima della partenza. Alle 20:25 giungiamo a Tinteniac, abbiamo percorso 366 km. Giuseppe, da un po’ lamenta di avere il “sopra sella” arrossato e la sosta è propizia per sottoporsi alle cure dal servizio medico. Sentiamo un po’ di stanchezza, ci sdraiamo su un prato, in mezzo a tanti altri compagni, per cercare di schiacciare un pisolino. Matteo e Giuseppe ci confessano di essere piuttosto provati, manifestano l’intenzione di abbandonare l’impresa ma, per ora, ripartiamo ancora uniti. Gigi Re e Paolo Belloni Giuseppe Fina Matteo Cataudo Tinteniac-Loudeac. E’ quasi mezzanotte, siamo in viaggio da oltre 3 ore, il sonno comincia a farsi sentire, decidiamo di sostare nella piazza di un paesino accanto a una fontana. Stendiamo a terra il tappetino, ci copriamo col telo di alluminio e ci riposiamo un po’. Dopo soli 45 minuti suona la sveglia, è di nuovo ora di partire, abbiamo dormito poco ma ci sentiamo già meglio. Proseguiamo nel buio della notte illuminando la strada con le nostre lampade, si incontrano poche località abitate e completamente deserte, raggiungiamo di tanto in tanto qualche compagno straniero col quale viaggiamo volentieri in compagnia. Ad un certo punto, lungo un tratto rettilineo e pianeggiante, scorgiamo in lontananza delle strane luci bianche, quando le incrociamo, scopriamo che sono il primi in testa che stanno già tornando da Brest. Noi abbiamo percorso 400 km e loro nientemeno che più del doppio! Finalmente, alle 03:22 arriviamo a Loudeac, siamo a 452 km dalla partenza. Il piazzale è affollato di biciclette e partecipanti, ci diamo una rinfrescata al viso nei bagni anch’essi gremiti, al punto di ristoro c’è coda, attendiamo pazientemente il nostro turno per gustarci un bel piatto di riso e un po’ di pollo. Siamo pronti a ripartire, di tutta la folla iniziale c’è solo il ricordo, ci guardiamo in faccia l’un l’altro, abbiamo gli sguardi stanchi, ci sentiamo appiccicosi, avremmo bisogno di fare una doccia ma il tempo stringe, la rimandiamo alla prossima sosta. Giuseppe e Matteo sembrano ormai decisi ad abbandonare e ci invitano (io e Gigi) a proseguire senza di loro. Pensano di andare avanti ancora un po’ fin che ne avranno le forze poi, ritornare con qualche mezzo a Parigi. Cerchiamo di incoraggiarli a proseguire insieme, assicuriamo loro di tenere un’andatura più tranquilla ma, non c’è nulla da fare, a malincuore ci dividiamo in due gruppi e ripartiamo così, divisi. Loudeac-Carhaix. Siamo dispiaciuti della divisione ma, pare non ci fosse altra soluzione. In due proseguiamo, nella notte, per una cinquantina di km poi, mi sento gli occhi pesanti, ho bisogno di nuovo di un po’ di riposo. Ci fermiamo a dormire, profondamente, 20 minuti, stesi sui gradini di una casa con le gambe appoggiate in alto sulle borse posteriori della bici. Fortunatamente non fa freddo come temevamo, il giubbino rifrangente è sufficiente a ripararci quel tanto che basta. Piano piano, tra salite e discese, arriva il chiarore dell’alba, alle 7:55 arriviamo a Carhaix, col sole che basso all’orizzonte ci abbaglia, siamo a 529 km. Come sempre, al nostro arrivo c’è folla, veloci passiamo il controllo, un pieno di acqua e via sgranocchiando qualche biscotto. Stavolta ripartiamo mentre l’ambiente è ancora affollato, abbiamo guadagnato un po’ di tempo sugli altri. Carhaix-Brest – Abbiamo trascorso una notte praticamente senza dormire, dopo poco più di un’ora dalla partenza, appena fuori dall’abitato di Huelgoat, scorgiamo un praticello verde che sembra proprio fare al caso nostro. Ci sdraiamo sotto un sole fioco, il cielo si è coperto di nubi leggere ma non sono preoccupanti. Punto la sveglia ad un’ora e ci addormentiamo pesantemente. Le gocce di pioggia che cominciano a cadere e il suono dei campanacci delle mucche ci svegliano di soprassalto dopo poco più di mezz’ora. Il sonno ormai è interrotto, mezz’ora ci ha comunque ristabiliti. Proseguiamo sulla strada in salita, scendiamo per qualche km e poi affrontiamo gli 8 km di salita, sia pur leggera, che porta in vetta al Roc Trevezel, la cima più alta del percorso a 550 metri circa. La lunga discesa si conclude a Sizun dove inizia a gocciolare e poi piovere a dirotto, ci ripariamo per qualche minuto in un garage agricolo, non possiamo restare a lungo qui, fermi con gli abiti bagnati, in attimo di calma ripartiamo, piove ancora per un po’ e poi basta, il sole torna ad asciugarci. Ci è andata piuttosto bene, pensavamo ai racconti dell’ edizione ’95…. Mancano ancora 35 km a Brest, al giro di boa, ma con la mente siamo già là. Finalmente avvistiamo il maestoso ponte che attraversa il fiume, dall’altra parte è Brest. Il percorso ci porta su un altro “vecchio” ponte affiancato, ora adibito al solo transito ciclistico e pedonale, da qui, si scorge, da un lato, ancor lontano, l’Oceano Atlantico e dall’altro il grande ponte. Un’ultima ripida rampa sotto il sole e ci siamo, sono le 13:39, abbiamo percorso 615 km, siamo solo a metà percorso! I giornalisti di Cicloturismo ci scoprono addormentati sul ciglio della strada. La foto è vera ma la copertina è un fotomontaggio, opera di Giuseppe Fina. Ci facciamo quella doccia ristoratrice che abbiamo saltato a Loudeac, e un bel pranzetto ben fatto con una fettina di carne con intingolo misterioso e pasta come contorno ma, rigorosamente in bianco, scotta e insipida. Piuttosto che niente, ci accontentiamo anche di questo! E’ passata più di un’ora dall’arrivo, abbiamo sistemato i bagagli e stiamo ripartendo quando nel mentre arrivano Giuseppe e Matteo. Da bravi randonnéurs, non si sono arresi ed hanno proseguito! E’ una grande sorpresa, siamo contenti di esserci ritrovati, francamente lo speravamo ma non ce lo aspettavamo. Attendiamo quindi loro e dopo un’altra ora circa, siamo tutti pronti ad affrontare il ritorno! Brest-Carhaix – La strada del ritorno fino a Sizun segue un percorso diverso per evitare l’incrocio coi partecipanti diretti a Brest poi, si sale di nuovo al Roc Trevezel e da qui il percorso è lo stesso dell’andata. A Carhaix arriviamo mercoledì alle 20:22, il sole è da poco tramontato e abbiamo un sonno incredibile, da lunedì sera abbiamo dormito non più di 2 ore! Dopo il rituale risciacquo e la cena, parcheggiamo le bici e ci infiliamo nel dormitorio. Lasciamo detto, agli addetti al servizio, di svegliarci tra 2 ore e piombiamo in un sonno, profondo quanto mai! Al risveglio sono le 23 circa, c’è un gran via vai di gente che arriva e che parte, l’aria è freschina, un po’ tremanti indossiamo il giubbino riflettente e via. Salire in sella dopo una sosta è sempre una grande sofferenza, sembra di essere sui carboni ardenti, poi, piano piano, tutto si “assesta” e ritorna quasi normale. Le gambe invece non sembrano soffrire, ormai sono “allenate”! Carhaix-Loudeac – Stiamo viaggiando tranquillamente, un pò per la stanchezza un pò perchè non ci sono argomenti, pedaliamo silenziosi cercando tuttavia di non lascairci sfuggure le frecce indicatrici. Ma, attraversando un paesino, sbagliamo strada e ci immettiamo erroneamente sul percorso dell’andata, nonostante che, le frecce del ritorno abbiano colore diverso di quelle dell’andata. Ci accorgiamo dell’errore io e Gigi perchè riconosciamo il prato dove ci eravamo fermati a riposare all’andata. Se non si fossimo fermati, non ci saremmo accorti ed avremmo proseguito per chissà quanti chilometri! Loudeac-Tinteniac – Lungo la strada ci fermiamo ad uno dei banchetti ristoro che la gente, con entusiasmo, ha allestito per l’occasione e ci beviamo un bel caffè lungo, anzi lunghissimo ma, ben caldo. Proprio quello che ci voleva! Io mi siedo a terra a cerco di fare un pisolino della durata record di una manciata di secondi; non c’è tempo per dormire dobbiamo proseguire, il tempo è tiranno. Tinteniac-Fougeres – Arriviamo alle 14:10, qui abbiamo lasciato in consegna i bagagli in eccesso. Li ritroviamo e siamo pronti a ricaricarceli sulle “spalle” ma, abbiamo la gradita sorpresa di apprendere che, se vogliamo, li possiamo riprendere all’arrivo, a Parigi. Non ci lasciamo certo perdere l’occasione e accettiamo ringraziando di cuore. Mi tormenta un male al collo che non mi permette di tenere le mani sui freni e di alzare lo sguardo per vedere la strada lontano. Deve guidare la bici afferrando una appendice prevista per fissare le luci notturne in modo da stare col capo più eretto così, va un pò meglio ma la sofferenza c’è comunque. Avrei bisogno di alzare un poò il manubrio in modo da stare ancora pù eretto ma non abbiamo la chiavetta brugola per farlo. In un tratto pianeggiante a lato della strada scorgo un contadino col trattore, penso che potrebbe averla la chiave giusta, mi fermo a chiedere ma, sono sfortunato gli manca proprio quella! Con gentilezza tutta francese mi dice che ce l’ha a casa a poche centiania di metri di distanza, gira il trattore e ci accompagna a casa sua. Alzo il manubrio il più possibile compatibilmente con la lunghezza dei cavi dei freni; devo ancora afferrare l’appendice ma và nettamente meglio, in discesa riesco a mettere le mani sui freni e vedere anche la strada! Fougeres-Villaines la Juhel – Quando arriviamo sono le 20:21 del 26 Agosto, e il sole stava lentamente tramontando, già da parecchi chilometri Giuseppe stava lamentando i soliti dolori al “sopra sella” ed io il mal di collo Ricorriamo entrambi alle cure mediche; a Giuseppe danno una pomatina da spalmare “in loco” e a me fanno un massaggio leggero che produce solo un momentaneo benessere. Abbiamo ancora sonno, Matteo si infila in un dormitorio nel quale c’è un odore intenso di “umanità” misto a pomate canforate e a chissà cos’altro che, rende l’aria quasi irrespirabile. Cerchiamo di seguirlo ma l’aria è così “pesante” che rinunciamo. Richiamiamo Matteo e ripartiamo, decisi a fermarci più avanti in qualche angolo. Non ricordo in che paese né quanti chilometri dopo la partenza quando non ce la facciamo proprio più e decidiamo di fermarci a dormire. Dove? Stesi a terra sul tappetino coperti con il telo di alluminio in una piazzetta proprio sotto a un minuscolo campanile di una antica chiesetta. Per 2 ore dormiamo profondamente senza neppure sentire i rintocchi delle campane che suonavano le ore, le mezze ed anche i quarti. Tutti meno uno, Gigi, che viceversa, dice che le campane non gli hanno fatto chiudere occhio! Quando ripartiamo è circa l’una, le temperatura è buona, non fa’ certo caldo ma neppure freddo, le manichette e il giubbino riflettente sono una protezione sufficiente. Attorno a noi non si vede anima viva, ci siamo collocati appena fuori dal percorso per non essere disturbati dai ciclisti di passaggio! Dopo un paio d’ore di marcia, in un paesino sperduto, scorgiamo un bar aperto, uno di quelli che resta aperto per dare ristoro ai partecipanti della PBP, fuori c’è qualcuno sdraiato a terra addormentato, qualcun altro è lì fuori sulle sedie appisolato, altri sono dentro al bar con lo sguardo giustamente stanco. Entriamo anche noi per un un bel panino, una bibita e un caffè extra lungo, alla francese. Quando poi ci rimettiamo in strada ci fermiamo poco dopo, fuori paese, per una sosta “idraulica” e alla ripartenza, Giuseppe manca all’appello. Eppure era anche lui lì poco lontano! Lo cerchiamo, lo chiamiamo ma nulla, sembra scomparso! Proseguiamo lentamente, pensiamo che sia ancora dietro di noi, ma, nessuna traccia. Potrebbe essere avanti, allora allunghiamo il passo sperando di raggiungerlo ma senza risultato. Non ci resta che proseguire da soli, dovremmo rivederlo al prossimo punto di controllo! Invece, dopo un ventina di chilometri lo troviamo, ad una rotonda, che ci attende; anche lui aveva allungato e poi pensato che non potevamo essere tanto avanti e quindi dovevamo essere, ovviamente, dietro. Villaines la Juhel-Mortagne au Perche – Ci arriviamo, dopo aver pedalato tutta la notte, alle 4:57, è ancora buio. In questo stesso posto, all’andata, avevamo fatto riparare la ruota dopo la caduta, il meccanico, nonostante l’orario inconsueto, lo vediamo, è ancora lì a prestare la sua opera preziosa. Dopo il consueto controllo ci avviamo al self service per un pranzo-colazione e poi, come molti altri, scivoliamo sotto al tavolo, per metterci al riparo dalla luce delle lampade, e schiacciamo un pisolino di un buona mezz’oretta. Ripartiamo con le prime luci dell’alba, mancano solo 141 km a Parigi, una sgambata! Per la strada si vedono ciclisti che proseguono per inerzia, silenziosi, non hanno più nemmeno la forza di parlare. Ne vediamo uno che barcollando paurosamente spinge con gran fatica sui pedali. Parlandogli in francese e in inglese, gli consigliamo di fermarci ma, non ci capisce, e prosegue ugualmente. O parla chissà quale lingua oppure la fatica gli ha chiuso le orecchie e bloccato il cervello. Mortagne au Perche-Nogent le Roi-Paris – E’ quasi mezzogiorno, mancano venti minuti, quando finalmente arriviamo all’ultimo controllo. Nogent le Roi-Paris – E’ come se fossimo già arrivati, ci mancano solo 57 km di stradine che attraversano un altopiano con solo qualche lieve saliscendi e una salita non impegnativa, in tempi normali, ma massacrante dopo 1200 km. Senza neppure accorgerci ci ritroviamo a Elancourt nei pressi di Saint Quentin, sono gli ultimi 14 km lungo un itinerario nel quale è impossibile orientarsi e capire dove si sta andando quando, finalmente, ci ritroviamo a la Place des Sangliers, al Gimnase des Droit de l’Homme da dove siamo partiti 4 giorni fa. Tutt’intorno c’è una gran folla che attende ed applaude incessantemente all’arrivo dei partecipanti. Proviamo una grande emozione, ci vengono le lacrime agli occhi, non ci sembra vero ma ce l’abbiamo fatta! Il timbro di controllo è alle 15:41 dopo 89 ore e 11 minuti dal via, appena entro il tempo massimo 90 ore. Ci guardiamo in faccia l’un l’altro, ci stringiamo la mano, abbiamo tutti gli occhi gonfi dall’emozione e dalla gioia, la stanchezza è incredibilmente svanita. Il grande parcheggio bici è gremito di gente arrivata da poco, molti si sono sdraiati a terra, sotto il sole, accanto alla bici e, si sono addormentati. Altri, sono fermi seduti sui gradini, con gli occhi sbarrati e increduli, non hanno più nemmeno la forza di camminare. Ma sono soddisfatti perché hanno portato a termine una impresa che sembrava impossibile, non sanno neppure loro come, ma ce l’hanno fatta! Siamo arrivati appena in tempo, il tempo massimo a disposizione era di 90 ore, sarebbe stata sufficiente una foratura per rischiare di compromettere tutto. Qui a sinistra, il cartellino di viaggio coi timbri e gli orari esatti registrati dal sistema computerizzato ed a destra la copertina del volumetto consegnato a tutti i partecipanti con la medaglia speciale per la Paris-Brest-Paris. Nel volumetto ci sono tantissime informazioni sulla storia della PBP, le curiosità di questa edizione, i tempi di tutti i classificati e le impressioni di alcuni partecipanti. Qui nel link al sito della Audax Parisienne si possono trovare molte di queste informazioni e dare un’occhiata a questo strano ma fantastico mondo delle randonnée. Paolo Belloni |