
E’ Febbraio quando su Cicloturismo leggiamo un articolo sulla mitica Paris-Brest-Paris che, subito si butta lì l’idea di parteciparvi. Non siamo in realtà convinti di parteciparvi ma almeno la 200 km, anche se a marzo il freddo ancora non scherza, si potrebbe tentare! Siamo una dozzina decisi a parteciparvi, la partenza è alle 7:30 per cui, per non fare una levataccia decidiamo di dormire una notte nei pressi ed essere così già sul posto. Alle iscrizioni c’è Eligio Doglio, di Campiglione Fenile, un tranquillo paesino nei pressi di Pinerolo che, spinto da Giovanni Zilioli e Piera Marzani, che furono i soli italiani a partecipare nella edizione del 1995, e da Alberto Ferraris, giornalista della rivista Cicloturismo, ha trovato un gruppo di collaboratori che si è incaricato di organizzare le prove di qualificazione in Italia, facendo rinascere il movimento e risparmiando così agli aspiranti di dover espatriare perlomeno in Francia. C’è anche il presidente dell’Audax Club Parisien, Robert Lepertel con la moglie Susanne che sono entusiasti nel vedere tanto interesse mostrato dai ben 300 iscritti alla prova. Tuttavia, sottolineano che, viste le passate esperienze, solo il 10% riuscirà ad arrivare a Parigi! Vedremo più avanti che le cose andranno ben diversamente! E’ il 21 marzo e alla partenza c’è già luce per cui, per questa volta le torce elettriche non sono necessarie. Si parte a gruppi di 10-12, ci raccomandano di non fare gruppi numerosi e di tenere rigorosamente la destra, che siamo sulla strada come in una qualsiasi gita domenicale. Abbiamo ciascuno il nostro road-book, sappiamo che non ci sono segnalazioni lungo il percorso, che le strade le dobbiamo cercare, aiutati anche da una cartina dettagliata. Non siamo abituati a questo e ben presto ci troviamo in difficoltà, ci consultiamo, aspettiamo il transito di qualcuno che speriamo sia della zona o quantomeno la conosca, e poi via. Ciononostante riusciamo comunque a sbagliare e alla fine ci ritroviamo con una ventina di chilometri in più del previsto. E’ comunque una bella esperienza, la ricerca della strada dà entusiasmo e suscita un’attrattiva particolarissima. Concludiamo la prova compatti in 9 ore e 7′ piuttosto stravolti, forse non avevamo abbastanza allenamento. All’arrivo ci chiedono se intendiamo iscriverci immediatamente alla 300 km di aprile. Al momento l’idea non ci sfiora nemmeno, e rimandiamo la decisione. Il 17 aprile alle 4:00 parte la 300 km, siamo rimasti in 5, Gigi Re, Paolo Belloni, Giuseppe Fina, Matteo Cataudo, e Lorenzo Visentin. Questa volta optiamo per una levataccia, partiamo da casa all’una e alle 3 siamo già sul posto, in tempo per un ultimo pisolino. E’ ovviamente buio e fa’ un freddo canaglia, la temperatura è attorno allo zero e anche meno. In completa tenuta invernale, con le luci montate sulle bici, si parte tremando dal freddo. Nei campi si intravede uno strano e indefinito chiarore. E’ la prima volta che pedaliamo di notte, abbiamo difficoltà a valutare la posizione dei compagni, a scorgere il ciglio della strada e le immancabili buche. Il percorso è. Barge, Paesana, Saluzzo, Rossana, Caraglio, Borgo San Dalmazzo, Peveragno, Santuario di Vicoforte (qui troveremo un controllo segreto ma molto gradito, offerto dagli Alpini della zona), Ceva, Bossolasco, Diano d’Alba, Alba, Damiano d’Asti, Poirino, Carignano, Vigone, Cavour e quindi Campiglione Fenile. Alla prima salita, la Colletta di Paesana, a pochi chilometri dalla partenza, improvvisamente mi si spegne la torcia elettrica. Non posso fermarmi, devo salire al buio cercando di immaginare la strada e raggiungere il compagno più avanti per usufruire della sua luce. Non sono il solo ad avere problemi di luce, in vetta ci fermiamo per riparare il guasto. Le torce che abbiamo non sono affidabili, abbiamo scelto senza esperienza. Con le prime luci si svela il mistero, il chiarore è la brina che ricopre i campi, ecco spiegato il tanto freddo! A Saluzzo, sono le 6 del mattino, scorgiamo nella piazza principale un bar già aperto, ci infiliamo dentro di corsa a scaldarci un po’. Ne avevamo davvero bisogno! Lorenzo Visentin coi calzoncini corti estivi, senza soprascarpe, ci confessa di sentirsi un pezzo di ghiaccio. E lo credo bene! Con l’alba, arriva il tepore del sole, le temperatura si alza e diventa accettabile, è sempre freddo ma, si può resistere. I chilometri scorrono lentamente, ai punti di controllo si approfitta per fare ristoro e ripartire con un gruppetto nuovo, siamo in molti a partecipare quindi , trovare altri compagni non è affatto improbabile. Siamo quasi giunti alla fine del percorso e, con grande sorpresa, incontriamo un gruppo di amici Amspo, Giorgio Visentin, Angelo Borghetti, Paolo Reali ed Ezio Gorla i quali, non trovando niente di meglio da fare, ci sono venuti incontro per verificare se eravamo ancora vivi. Ebbene sì, lo eravamo eccome, anche dopo 300 km, e 15 ore e 30 minuti di viaggio! Alla consueta domanda se intendiamo iscriverci alla 400 km, ci guardiamo in faccia, abbiamo i visi con i segni della fatica, rispondiamo: “No, ora non ce la sentiamo proprio! Semmai, ci faremo vivi tra due settimane”. 15-16 Maggio – Alle 3:15 prende il via la terza prova, la 400 km. Siamo partiti, da casa, con l’ammiraglia Amspo poco dopo la mezzanotte ed alle 2:00 siamo già a Campiglione Fenile. Nonostante sia notte fonda c’è un gran movimento di ciclisti, chi arriva, chi completa le iscrizioni, chi esegue gli ultimi controlli al mezzo, chi mangiucchia qualcosa e chi, in auto, aspetta cercando di dormire. Compiamo anche noi lo stesso rituale ed aspettiamo, dormicchiando, fin quasi alle 3:00. E’ la prima volta che affrontiamo una distanza simile, siamo un poco preoccupati anche se, ciascuno cerca di nascondere la tensione, non ci sembra vero quello stiamo facendo eppure ….. ! Scoccano le 3, scattiamo fuori dall’auto, le bici sono già pronte, un’ultima verifica ai bagagli e alla bici, indossiamo il giubbino con le bande riflettenti e via in coda per la partenza. Siamo un poco ansiosi e preoccupati, l’emozione ci prende e il cuore batte velocemente, respiriamo una strana ed indefinita atmosfera, gli sguardi dei partecipanti si incrociano spesso cercando un segno, un gesto, uno sguardo, di condivisione. Scrupolosamente i giudici verificano la presenza e il funzionamento dei sistemi di illuminazione, un timbro con l’ora effettiva di partenza, un ultimo attimo di attesa per formare un gruppetto di una decina e la nuova avventura comincia. Del percorso non ne sappiamo più nulla, abbiamo perso la documentazione e non ci ricordiamo nemmeno sommariamente quale sia stato il percorso ma, sappiamo che siamo arrivati alle 20:49 della domenica, dopo 17h 34 11-12 Giugno – E’ l’ultima tappa del percorso di preparazione, la più lunga, con una intera notte trascorsa in bici, metà percorso della Paris-Brest-Paris. Questa volta la partenza è ad un’ora più accettabile, alle 6:15 ma, per arrivare qui abbiamo comunque fatto una levataccia partendo alle 3:30. Siamo in giugno ed a quest’ora c’è già il sole su nel cielo, non c’è più il buio delle altre volte e tutto sembra diverso, più normale, non fosse per il fatto che ci aspettano ben 600 km da percorrere il meno di 40 ore. Nonostante questo, forse per l’esperienza alle spalle o forse per la luce del giorno che ci consente di vedere bene in viso gli altri partecipanti, siamo più tranquilli e rilassati come se fossimo all’ennesima partecipazione. Il percorso prevede di salire a Sestriere e poi, Cesana Torinese, Oulx, Susa, Ciriè, Cuorgné, Ivrea, Biella, Gattinara, Biandrate, Borgo Vercelli, Lomello, Casei Gerola, Tortona, Villavernia, Novi Ligure, Ovada, Molare, Acqui Terme, Alba, Marene, Saluzzo, Barge e infine Campiglione Fenile. La salita a Sestriere, che ci impensieriva un poco, non si rivela una difficoltà particolare. Con diversi saliscendi si arriva a Gattinara, da qui attraversando le risaie arriviamo a Casei Gerola, nel frattempo è calata la notte e il sonno comincia a farsi sentire, gli occhi si fanno pesanti, c’è il rischio di addormentarsi in bici. La temperatura è decisamente estiva, pensiamo di fermarci un poco a fare un pisolino ma, dove? Siamo in pianura in mezzo alle risaie, non possiamo sdraiarci a terra nemmeno in centro ad un paese, la zanzare ci farebbero la festa! E allora, cosa facciamo? Ci fermiamo un attimo ad una fontanella, ci diamo una bella sciacquata al viso, alle braccia ed alle gambe e già ci sembra di rinascere. Possiamo proseguire ancora un po’, in attesa che ci venga qualche idea. Alla domanda: “Quali luoghi di pubblico accesso sono aperti anche la notte?” La risposta è stata: “Certamente, una stazione ferroviaria!” Ma, in questo momento, la ferrovia è lontana, il posto più vicino è Tortona a circa 40 km, ad almeno un’ora e mezza di bici! E’ mezzanotte ma Il pensiero di aver trovato una soluzione al problema basta per farci stare ancora svegli fino a Tortona. Seguendo le indicazioni, troviamo la stazione e scopriamo anche che un’altra mezza dozzina di partecipanti ha avuto la nostra stessa idea. In una piccola sala d’aspetto ci infiliamo noi quattro ed altri due con anche le biciclette. Dormire sulle panche di legno non è né comodo né facile, meglio sdraiati a terra con le gambe, in alto, sul sedile delle panche. Un’ora scarsa è stata più che sufficiente per farci rinascere, pronti per proseguire. Sono le 2:30 circa ci attende ora ancora un tratto piano fino a Ovada e poi sarà tutto un saliscendi fino ad Alba. Alle 7:24 timbriamo il cartellino di viaggio ad Acqui Terme, alle 13:01 a Cavallermaggiore. Di tanto in tanto una sosta a cogliere ciliegie da alberi lungo il ciglio della strada, e distendere gli arti indolenziti. Sotto un sole a picco scorrono gli ultimi chilometri sui modesti saliscendi e sui lunghi tratti piani e diritti e, finalmente, alle 15:40 della domenica, arriviamo a Campiglione, dopo 33h 25′. E’ stata dura ma, ce l’abbiamo fatta, abbiamo terminato il percorso di preparazione ed ora ci attende l’obiettivo finale, i 1200 km della Paris-Brest-Paris! Con l’auto di Matteo, attrezzata con un portabici speciale a 4 posti e il bagagliaio pieno, partiamo alla volta di Parigi. Percorrere solo l’autostrada sarebbe stato troppo monotono, allora, per rendere il tragitto più interessante, decidiamo di fare una variante passante per il Col del Monginevro, il Col du Lautaret e su ancora fino al Col du Galibier per poi scendere al Col du Telegraph, riprendere la “Vallée de la Maurienne” e quindi l’autostrada. La foto è vera ma la copertina è un fotomontaggio, opera di Giuseppe Fina. Ci facciamo quella doccia ristoratrice che abbiamo saltato a Loudeac, e un bel pranzetto ben fatto con una fettina di carne con intingolo misterioso e pasta come contorno ma, rigorosamente in bianco, scotta e insipida. Piuttosto che niente, ci accontentiamo anche di questo! E’ passata più di un’ora dall’arrivo, abbiamo sistemato i bagagli e stiamo ripartendo quando nel mentre arrivano Giuseppe e Matteo. Da bravi randonnéurs, non si sono arresi ed hanno proseguito! E’ una grande sorpresa, siamo contenti di esserci ritrovati, francamente lo speravamo ma non ce lo aspettavamo. Attendiamo quindi loro e dopo un’altra ora circa, siamo tutti pronti ad affrontare il ritorno! Brest-Carhaix – La strada del ritorno fino a Sizun segue un percorso diverso per evitare l’incrocio coi partecipanti diretti a Brest poi, si sale di nuovo al Roc Trevezel e da qui il percorso è lo stesso dell’andata. A Carhaix arriviamo mercoledì alle 20:22, il sole è da poco tramontato e abbiamo un sonno incredibile, da lunedì sera abbiamo dormito non più di 2 ore! Dopo il rituale risciacquo e la cena, parcheggiamo le bici e ci infiliamo nel dormitorio. Lasciamo detto, agli addetti al servizio, di svegliarci tra 2 ore e piombiamo in un sonno, profondo quanto mai! Al risveglio sono le 23 circa, c’è un gran via vai di gente che arriva e che parte, l’aria è freschina, un po’ tremanti indossiamo il giubbino riflettente e via. Salire in sella dopo una sosta è sempre una grande sofferenza, sembra di essere sui carboni ardenti, poi, piano piano, tutto si “assesta” e ritorna quasi normale. Le gambe invece non sembrano soffrire, ormai sono “allenate”! Carhaix-Loudeac – Stiamo viaggiando tranquillamente, un pò per la stanchezza un pò perchè non ci sono argomenti, pedaliamo silenziosi cercando tuttavia di non lascairci sfuggure le frecce indicatrici. Ma, attraversando un paesino, sbagliamo strada e ci immettiamo erroneamente sul percorso dell’andata, nonostante che, le frecce del ritorno abbiano colore diverso di quelle dell’andata. Ci accorgiamo dell’errore io e Gigi perchè riconosciamo il prato dove ci eravamo fermati a riposare all’andata. Se non si fossimo fermati, non ci saremmo accorti ed avremmo proseguito per chissà quanti chilometri! Loudeac-Tinteniac – Lungo la strada ci fermiamo ad uno dei banchetti ristoro che la gente, con entusiasmo, ha allestito per l’occasione e ci beviamo un bel caffè lungo, anzi lunghissimo ma, ben caldo. Proprio quello che ci voleva! Io mi siedo a terra a cerco di fare un pisolino della durata record di una manciata di secondi; non c’è tempo per dormire dobbiamo proseguire, il tempo è tiranno. Tinteniac-Fougeres – Arriviamo alle 14:10, qui abbiamo lasciato in consegna i bagagli in eccesso. Li ritroviamo e siamo pronti a ricaricarceli sulle “spalle” ma, abbiamo la gradita sorpresa di apprendere che, se vogliamo, li possiamo riprendere all’arrivo, a Parigi. Non ci lasciamo certo perdere l’occasione e accettiamo ringraziando di cuore. Mi tormenta un male al collo che non mi permette di tenere le mani sui freni e di alzare lo sguardo per vedere la strada lontano. Deve guidare la bici afferrando una appendice prevista per fissare le luci notturne in modo da stare col capo più eretto così, va un pò meglio ma la sofferenza c’è comunque. Avrei bisogno di alzare un poò il manubrio in modo da stare ancora pù eretto ma non abbiamo la chiavetta brugola per farlo. In un tratto pianeggiante a lato della strada scorgo un contadino col trattore, penso che potrebbe averla la chiave giusta, mi fermo a chiedere ma, sono sfortunato gli manca proprio quella! Con gentilezza tutta francese mi dice che ce l’ha a casa a poche centiania di metri di distanza, gira il trattore e ci accompagna a casa sua. Alzo il manubrio il più possibile compatibilmente con la lunghezza dei cavi dei freni; devo ancora afferrare l’appendice ma và nettamente meglio, in discesa riesco a mettere le mani sui freni e vedere anche la strada! Fougeres-Villaines la Juhel – Quando arriviamo sono le 20:21 del 26 Agosto, e il sole stava lentamente tramontando, già da parecchi chilometri Giuseppe stava lamentando i soliti dolori al “sopra sella” ed io il mal di collo Ricorriamo entrambi alle cure mediche; a Giuseppe danno una pomatina da spalmare “in loco” e a me fanno un massaggio leggero che produce solo un momentaneo benessere. Abbiamo ancora sonno, Matteo si infila in un dormitorio nel quale c’è un odore intenso di “umanità” misto a pomate canforate e a chissà cos’altro che, rende l’aria quasi irrespirabile. Cerchiamo di seguirlo ma l’aria è così “pesante” che rinunciamo. Richiamiamo Matteo e ripartiamo, decisi a fermarci più avanti in qualche angolo. Non ricordo in che paese né quanti chilometri dopo la partenza quando non ce la facciamo proprio più e decidiamo di fermarci a dormire. Dove? Stesi a terra sul tappetino coperti con il telo di alluminio in una piazzetta proprio sotto a un minuscolo campanile di una antica chiesetta. Per 2 ore dormiamo profondamente senza neppure sentire i rintocchi delle campane che suonavano le ore, le mezze ed anche i quarti. Tutti meno uno, Gigi, che viceversa, dice che le campane non gli hanno fatto chiudere occhio! Quando ripartiamo è circa l’una, le temperatura è buona, non fa’ certo caldo ma neppure freddo, le manichette e il giubbino riflettente sono una protezione sufficiente. Attorno a noi non si vede anima viva, ci siamo collocati appena fuori dal percorso per non essere disturbati dai ciclisti di passaggio! Dopo un paio d’ore di marcia, in un paesino sperduto, scorgiamo un bar aperto, uno di quelli che resta aperto per dare ristoro ai partecipanti della PBP, fuori c’è qualcuno sdraiato a terra addormentato, qualcun altro è lì fuori sulle sedie appisolato, altri sono dentro al bar con lo sguardo giustamente stanco. Entriamo anche noi per un un bel panino, una bibita e un caffè extra lungo, alla francese. Quando poi ci rimettiamo in strada ci fermiamo poco dopo, fuori paese, per una sosta “idraulica” e alla ripartenza, Giuseppe manca all’appello. Eppure era anche lui lì poco lontano! Lo cerchiamo, lo chiamiamo ma nulla, sembra scomparso! Proseguiamo lentamente, pensiamo che sia ancora dietro di noi, ma, nessuna traccia. Potrebbe essere avanti, allora allunghiamo il passo sperando di raggiungerlo ma senza risultato. Non ci resta che proseguire da soli, dovremmo rivederlo al prossimo punto di controllo! Invece, dopo un ventina di chilometri lo troviamo, ad una rotonda, che ci attende; anche lui aveva allungato e poi pensato che non potevamo essere tanto avanti e quindi dovevamo essere, ovviamente, dietro. Villaines la Juhel-Mortagne au Perche – Ci arriviamo, dopo aver pedalato tutta la notte, alle 4:57, è ancora buio. In questo stesso posto, all’andata, avevamo fatto riparare la ruota dopo la caduta, il meccanico, nonostante l’orario inconsueto, lo vediamo, è ancora lì a prestare la sua opera preziosa. Dopo il consueto controllo ci avviamo al self service per un pranzo-colazione e poi, come molti altri, scivoliamo sotto al tavolo, per metterci al riparo dalla luce delle lampade, e schiacciamo un pisolino di un buona mezz’oretta. Ripartiamo con le prime luci dell’alba, mancano solo 141 km a Parigi, una sgambata! Per la strada si vedono ciclisti che proseguono per inerzia, silenziosi, non hanno più nemmeno la forza di parlare. Ne vediamo uno che barcollando paurosamente spinge con gran fatica sui pedali. Parlandogli in francese e in inglese, gli consigliamo di fermarci ma, non ci capisce, e prosegue ugualmente. O parla chissà quale lingua oppure la fatica gli ha chiuso le orecchie e bloccato il cervello. Mortagne au Perche-Nogent le Roi-Paris – E’ quasi mezzogiorno, mancano venti minuti, quando finalmente arriviamo all’ultimo controllo. Nogent le Roi-Paris – E’ come se fossimo già arrivati, ci mancano solo 57 km di stradine che attraversano un altopiano con solo qualche lieve saliscendi e una salita non impegnativa, in tempi normali, ma massacrante dopo 1200 km. Senza neppure accorgerci ci ritroviamo a Elancourt nei pressi di Saint Quentin, sono gli ultimi 14 km lungo un itinerario nel quale è impossibile orientarsi e capire dove si sta andando quando, finalmente, ci ritroviamo a la Place des Sangliers, al Gimnase des Droit de l’Homme da dove siamo partiti 4 giorni fa. Tutt’intorno c’è una gran folla che attende ed applaude incessantemente all’arrivo dei partecipanti. Proviamo una grande emozione, ci vengono le lacrime agli occhi, non ci sembra vero ma ce l’abbiamo fatta! Il timbro di controllo è alle 15:41 dopo 89 ore e 11 minuti dal via, appena entro il tempo massimo 90 ore. Ci guardiamo in faccia l’un l’altro, ci stringiamo la mano, abbiamo tutti gli occhi gonfi dall’emozione e dalla gioia, la stanchezza è incredibilmente svanita. Il grande parcheggio bici è gremito di gente arrivata da poco, molti si sono sdraiati a terra, sotto il sole, accanto alla bici e, si sono addormentati. Altri, sono fermi seduti sui gradini, con gli occhi sbarrati e increduli, non hanno più nemmeno la forza di camminare. Ma sono soddisfatti perché hanno portato a termine una impresa che sembrava impossibile, non sanno neppure loro come, ma ce l’hanno fatta! |


